1: cambiare coinquilini

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Ora, credo sia necessario parlare un po’ della situazione che si è creata in casa mia. Sono sviluppi recenti, faccio abbastanza fatica a gestire il nervosismo quando so di aver fatto una cazzata che sapevo benissimo essere una cazzata prima di farla ma poi mi sono fatto convincere. Succede così: tu hai un’idea, un pensiero delineato nella tua mente in modo piuttosto preciso, poi due o tre persone mettono in dubbio le tue certezze, ti suggeriscono un’alternativa che lì per lì non sembra così peggiore della tua analisi originale, quindi accetti la loro teoria e quando ti accorgi di avere fatto una cazzata è troppo tardi. La casa in cui vivo ha sempre fatto abbastanza schifo. Del resto è una casa di studenti fuori sede, quindi la mia precisazione è quasi superflua. Però ha i suoi aspetti positivi: le due vecchie che abitano al piano di sopra sono quasi completamente sorde. Al piano di sotto c’è un bar. Questo significa poter giocare a Fifa due contro due alle tre di notte e gridare come degli ultrà quando si fa goal senza che qualcuno rompa i coglioni. O senza romperli tu a qualcuno, che più o meno è la stessa cosa. L’affitto è piuttosto basso. È in centro. Insomma, una serie di fattori positivi non facili da trovare combinati in una sola situazione. I problemi però sono iniziati quando Gianluca si è laureato e si è iscritto alla scuola di specializzazione a Torino, lasciando libera la sua stanza singola. Rimanevamo in tre: il Mecca, Mario e io. A quel punto si trattava di trovare un sostituto. La ricerca dei coinquilini è un problema ricorrente per chi vive fuori sede, anche se lì per lì ci è sembrata una grande opportunità. Mario ha subito avuto un’idea. «Perchè non mettiamo gli annunci nei negozi di intimo femminile?». Eravamo al settimo cielo. Dopo una settimana di silenzio ci ha chiamati Ivana, studentessa fuori sede in scienze mmffnn, da Palmanova, Udine. Abbiamo fissato un appuntamento. Quando si è presentata, tutti e tre abbiamo pensato che avesse avuto un impegno improvviso e per non tirare un bidone avesse mandato suo fratello. Invece era proprio Ivana. Non era molto carina: a giudicare dal fisico, in combattimento ci avrebbe stesi tutti e tre senza fare molta fatica. E poi si è presentata dicendo la seguente frase: «Vorrei mettere subito le cose in chiaro», facendo seguire una serie di osservazioni anche ragionevoli sul modo di coabitare in maniera civile. La cosa poco chiara era quali sarebbero state le conseguenze per noi, se non avessimo rispettato queste regole. Il Mecca ha iniziato subito a starnutire, noi le abbiamo subito spiegato che è molto, molto malato, da quando è stato in sudamerica. Le abbiamo detto che i dottori non riescono a identificare il ceppo virale. Abbiamo anche ritenuto giusto nei suoi confronti renderla partecipe del fatto che anch’io negli ultimi giorni ho accusato qualcuno dei sintomi. Non l’abbiamo più rivista. Poi è saltato fuori che il Mecca, avendo avanzato uno degli annunci, quei foglietti con la parte finale tagliata a forma di tante frange con scritto il nostro numero di telefono, lo aveva attaccato davanti a una palestra dove facevano corsi di Krav-maga, convinto fosse un centro fitness. Per punizione ho sfregato del peperoncino sul suo rotolo di carta igienica. Provate, è assolutamente invisibile. A quel punto abbiamo pensato di cambiare strategia, era evidente che le ragazze che andavano a comperare mutande e reggiseni avessero tutte già un posto in cui vivere. Abbiamo iniziato a pubblicare annunci su internet, in università, nei bar. Per qualche ragione non si presentava nessuno, Mario diceva che marzo è un periodaccio, che la gente aspetta l’estate per muoversi, che la sua ex aveva un’agenzia immobiliare quindi lui era competente in materia. Avremmo dovuto cogliere al volo qualsiasi occasione, altrimenti saremmo stati costretti a dividerci le spese dell’affitto di quella stanza vuota. Si sarebbe trattato di sborsare una quota aggiuntiva di poco più di sessanta euro al mese a testa, e probabilmente nel giro di qualche settimana avremmo trovato qualcuno che corrispondesse al profilo ideale richiesto: ragazza simpatica con molte amiche belle e single. Questo ci sarebbe costato, ripeto, al massimo un centinaio di euro a cranio se proprio fossimo stati sfortunati e non avessimo trovato niente nel breve periodo, ma il Mecca nel frattempo aveva denunciato la casa produttrice della carta igienica, temeva di dover sostenere delle spese ingenti in avvocati e era entrato nel mood catastrofista. Per intenderci, quello del «Non ce la faremo mai. Non verrà nessuno per anni. Con sessanta euro al mese potrei pagarmi le rate di una pensione integrativa, invece li sprecherò per sempre nella vana ricerca di una coinquilina. Le coinquiline non esistono, sono creature mitologiche». Proprio in quei giorni alla nostra porta si è presentato il signor Peluffo, in cerca di una stanza. Il signor Peluffo mi ha stretto la mano dicendo «Salve, Peluffo, sono lavoratore». Doveva essere piuttosto giovane, meno di quarant’anni, ma aveva un modo di fare da persona già anziana. Aveva una camicia a righine verticali azzurre e gialle, tenui al punto di sembrare slavate. Delle scarpe che non sapevo definire, sembravano abbastanza nuove ma di un modello un po’ all’antica, come il loro padrone. Portava un paio di occhiali rotondi. Era piuttosto basso, e dal livello in cui si trovavano i miei occhi vedevo chiaramente una pelata a forma di piazzetta di paese in cima alla sua testa. Sembrava molto educato, in compenso, continuava a ripetere «Non si disturbi», o «comunque la stanza mi piace tantissimo». Quella sera si trattava di decidere cosa fare. A me quel tizio non piaceva, aveva qualcosa di strano e poi era chiaramente fuori luogo in una casa di studenti, ho votato no. Mario si è astenuto. Il Mecca ha attaccato una delle sue scenate assurde, dicendo che rifiutando di affittare al signor Peluffo noi sputavamo in faccia alla fortuna, che non davamo il valore ai soldi, che il nostro era un atteggiamento classista e snob, che noi in realtà non volevamo affittare la stanza, ma complottavamo contro di lui per poterci fare un salotto. Mentre parlava era diventato rosso, sembrava decisamente angosciato dall’idea di una nostra eventuale opposizione. E così ho fatto la cazzata, ho deciso di cedere e di sottovalutare il mio istinto, che mi suggeriva di tenere alla larga da casa nostra questo signor Peluffo. Quel sabato pomeriggio il nostro nuovo coinquilino si è presentato per insediarsi nella sua nuova camera, armato di qualche valigia e di una lampada a stelo. Ha sistemato le sue cose, dopodichè si è preparato un caffè. Aveva questo atteggiamento non inquinante, rimetteva subito a posto ogni cosa che toccava o spostava. Continuavo a trovarlo abbastanza inquietante, senza riuscire bene a capire cosa avesse che non andava. Per i primi giorni non è successo niente di strano, a parte il fatto che sembrava nutrirsi quasi esclusivamente di tofu e cipolle. Di solito consumava questi lauti pasti in camera sua, ma una sera ha visto che cenavo in cucina, gli altri erano fuori, e si è seduto, chiedendomi almeno tre volte se non dava fastidio. Ho scoperto quindi che faceva il geometra al catasto. «Mi userebbe una cortesia?», ha chiesto, a un certo punto. Aveva un modo di esprimersi tutto particolare, e si ostinava a dare a tutti del lei. «Stavo pensando di comperarmi un cane, o un gatto, o qualcosa del genere. È possibile tenere animali, in casa?» Aveva assunto un atteggiamento circospetto, si guardava intorno con rapide occhiate da carbonaro, come per assicurarsi che lo potessi sentire solo io. Nell’insieme dava l’impressione di uno che da piccolo aveva giocato molto in casa e molto poco in giardino. Quelli i cui genitori dicono «Si ammala così facilmente…», chiudendo la frase a metà, come per dire traete voi le conclusioni, cari genitori degli altri bambini, ma il piccolo Peluffo oggi non verrà a giocare a calcio con i vostri figli, perché poi mi si ammala.

«Beh, se si tiene pulito non vedo grossi problemi», ho detto. Coglione. Ingenuo coglione.

Dopo alcuni giorni il Mecca ha iniziato a sostenere che il signor Peluffo andasse regolarmente a puttane, e tentava di convincerci a seguirlo tutti una sera e a fargli delle foto di nascosto mentre le abbordava. Aveva un braccio fasciato, e lo agitava gesticolando nervoso. Ha detto «Allora, ascoltate il mio ragionamento: non gli telefona mai nessuno, tranne sua madre. Non è mai venuto nessuno a trovarlo. Non ha amici, presumibilmente. Vi torna?»

«È possibile», ho risposto. Mario guardava fuori dalla finestra della cucina se per caso lo vedeva arrivare.

«Eppure», ha ripreso il Mecca, «esce tre volte la settimana, la sera, a orari regolari, ma torna a ore diverse, a volte subito a volte dopo un’ora o anche di più. È evidente che si è innamorato di una puttana e ci va tre volte alla settimana, ma a volte trova occupato, diciamo.»

«È possibile anche questo. Oppure va a giocare a biliardo, tanto per fare un altro esempio. Ma perché dovremmo andargli dietro?»

«Per fargli delle foto e ricattarlo! Gli mandiamo una lettera anonima, lo minacciamo di far vedere le foto a sua madre. Quella vecchietta, con tutti i crocifissi che gli ha piantato in stanza, se scopre che il figlio va a puttane come minimo le viene un infarto. Quindi lui pagherà, ci scommetto». Era completamente innamorato della sua idea, gongolava come se avesse inventato la macchina del tempo. Ci ha poi spiegato che la casa produttrice della carta igienica l’aveva controdenunciato per diffamazione. Era ormai, economicamente parlando, alla frutta. «Sto anche lavorando», ha detto. Questa era una notizia, dato che il Mecca era uno dei più grossi fancazzisti della sua generazione. «Lo vedete questo braccio fasciato?» Ci ha quindi raccontato che le sue mansioni consistevano nel nascondersi nei cespugli nella tenuta di caccia del suo datore di lavoro, con dei fagiani parzialmente sedati. Quindi al momento convenuto, doveva lanciare in aria questi poveri pennuti completamente rincoglioniti, in modo che il suo datore di lavoro riuscisse a ammazzarli sparando.

«Così quel grasso figlio di troia fa bella figura con i suoi invitati alla battuta di caccia, gli regala il fagiano, e conclude affari da milioni di euro. Però ieri si è sbagliato e ha impallinato me! Vi prego».

Sono stato inflessibile, gli ho detto che se voleva ricattare il povero signor Peluffo doveva farlo senza di me. Ora ho cambiato idea, credo che lo aiuterò. Infatti, pochi istanti dopo, Mario, che continuava a fare la sentinella alla finestra, ha fatto un segno con la mano. «Arriva!», ha esclamato, continuando a sbirciare attraverso i vetri.

Dopo essere entrato in casa e dopo aver salutato togliendosi il cappello, il signor Peluffo è subito sgusciato in camera sua, come sempre. Dopo pochi istanti è uscito. Questo era strano, lui se ne stava sempre rintanato per almeno mezz’ora, quando tornava a casa dal lavoro. Aveva l’aria molto preoccupata. «Avete visto Roger?», ha chiesto.

«Chi è Roger?», abbiamo risposto più o meno tutti.

Si è rimpicciolito. Il signor Peluffo era talmente in imbarazzo che sembrava ridursi. Ha detto «È la mia vipera di Russell»

«Chi?» ha commentato Mario.

«Sarebbe, ecco un serpente indiano piuttosto velenoso. Di solito è nella teca, la vedete la teca?» E quel maledetto imbecille ha puntato il dito verso la porta aperta di camera sua, dove in effetti si vedeva una teca, di vetro, con delle pianticine e dei sassi e della sabbia. Una specie di acquario ma senz’acqua. «Solo che adesso tornando a casa non l’ho visto. Temo che ehm… sia scappato»

Io nel frattempo ero saltato in piedi sul tavolo. Se c’è una cosa che mi terrorizza sono i serpenti. Ho iniziato a gridare, ero furioso. «Ma si può sapere per quale cazzo di ragione lei si teneva un serpente indiano in casa?»

«Ma le ho chiesto l’altra sera, se si potevano tenere animali»

«Aveva detto “vorrei comprare un cane o un gatto o qualcosa del genere”, non un serpente indiano piuttosto velenoso!».

La mia idea principale era quella di strozzarlo, ma ero paralizzato dal terrore.

Sono passati due giorni. Io dormo da un’affittacamere tedesca, frau Kualcosen, non riesco a imparare il suo nome. Il serpente non si trova. Spero salti fuori in fretta, altrimenti finirò tutti i miei risparmi per pagare questa stanza. Però, con un po’ di pazienza, potrò riprendere tutto con gli interessi. Aveva ragione il Mecca. L’ho seguito, il signor Peluffo, avevo una bella telecamera con un teleobbiettivo molto efficace. La sua bella di notte è molto alta, mora, ma insomma non entrerò nei dettagli, adesso. Ritiro le foto, che sono preziose. Domani spedirò i duplicati, con una bella lettera, l’indirizzo lo conosco. È il mio.